Se questa particolare specie di romanzo
epistolare[1] tratta il tema della solitudine, non la intende certo come lo stare da soli (pur descrivendo anche – e inevitabilmente – questa condizione) e non è metafora di una qualche forma di ricerca dell’io. È semplicemente un calcio ben assestato per far spalancare gli occhi sulla realtà alla quale ci si dovrebbe abbandonare, ossia (parafrasando/comparando) l’
essere solo noi stessi [“Siamo solo noi” – Vasco Rossi – “Siamo soli” – Chiara Daino]: del resto, uno dei primi elementi in cui c’imbattiamo nella lettura è un toast.
E per essere noi stessi non bisogna soltanto sapersi esprimere. Bisogna avere, più di tutto, il coraggio di volersi realmente esprimere. In questo libro ci si esprime attraverso la scrittura e la scrittura è la natura stessa dell’essere. Niente storia e niente trama (forse – ma poco importa davvero): Gabry, Zaìra, Meth,
il recidivo e Ninetto ci sono solo per sviluppare le relazioni delineate e forgiate (a seconda dei momenti – che possono essere così delicati da apparire addirittura ingenui quanto tanto feroci da farti sentire colpito in pieno stomaco) dalla “penna psichica” di Chiara Daino.
La “
POSSESSIONE EUFONICA” che si impadronisce di questa penna rende la scrittura irrequieta e vibrante perché è in costante divenire – e quindi viva.
Pura musica per gli occhi, capace di trasformarsi anche in melodia per le orecchie (a patto che si abbia una buona dizione e una voce quantomeno gradevole).
Questa scrittura rappresenta la vita, dunque, ma non la racconta.
E proprio perché è essa stessa l’essere che la sta vivendo. Gli incroci di solitudini che dialogano nei due capitoli più corposi del romanzo, sono chiamati – giocoforza – a interagire con un ampio spettro (frammentario e altalenante – così come accade nell’arco dell’esistenza umana) di emozioni.
E una scrittura che si fa carne, per esprimere tali sensazioni che connotano i più disparati momenti della vita (amore, sesso, rabbia, odio, tristezza, innocenza e via dicendo), non ha altro modo per farlo se non quello di apparire egocentrica e provocatoria.
Ma la realtà è altra: anche ammesso (e non concesso), infatti, ci si trovi di fronte a egocentrismo e provocazione, tali atteggiamenti non devono essere intesi in modo negativo. Perché questa scrittura è un essere che non ha bisogno di comprendersi e accettarsi, ma un essere che reclama ed esige con forza rispetto. Rispetto per l’altro essere: perché le solitudini possono stabilire una sana relazione sociale solo rispettandosi – con la speranza di giungere poi anche a comprendersi reciprocamente. I
soli del romanzo, pertanto, non devono cercare sé stessi, oppure capire perché sono soli: devono uscire allo scoperto per dire chi sono e accettare l’altro.
E non bisogna neanche lasciarsi abbindolare dal richiamo decadente di quel “morirò a Parigi” (tra parentesi quadre) del titolo, perché leggere “Siamo soli” è come seguire il percorso di un’entusiasmante (quanto pericoloso – all’interno del carrello-carrozza non si è proprio al sicuro) ottovolante: una pagina potrebbe essere capace di svuotarti e quella immediatamente successiva di riempirti oltre ogni limite tu possa contenere – e senza soluzione di continuità (con l’unico punto di chiusura/uscita, rappresentato concretamente – e per ovvie ragioni – dalla morte).
E se non è vita(lità) questa, allora ditemi voi cosa?!
Nota a margine
Chi scrive è consapevole di correre il rischio di coprirsi di ridicolo, ma è altrettanto conscio di esprimere un’opinione non dettata da sensazioni fasulle.
[1] I capitoli I, IV e V sono allo stesso tempo pagine di diario e lettere [cartacee] indirizzate al lettore; il capitolo II è un rincorrersi danzante di e-mail che segue un ritmo scandito da repentini cambi di stati d’animo; il capitolo III mescola appunti di un ipotetico romanzo da scrivere (o già scritto) e frammenti di stampo quasi diaristico, ma i protagonisti sono entrambi degli scrittori e ciò comporta che la natura del testo assuma la caratteristica di una sorta di scambio di messaggi (Zaìra scrive ovunque e su qualunque superficie: persino su una busta del latte).