CORPI DI CARTA CHIARA |
Estratto da Chiara Libre 30 Aprile 2008 01:45:14 |
E ti facevi chiamare padre.
Preteso, imposto, eretto. Dall’alto. Quel nome: padre. Dall’oltre dei miei tre anni. E chi era quel signore? E perché rideva? Nella mia famiglia non si ride. Non si fa. Punto.
Eri chi si doveva: chiamare padre. Per decreto di divorzio. E mangiavo vetro. Mai un taglio, ma le schegge, strette in bocca, ora sono: servite! E odiavo i tuoi bagni di unto, la violenza sul cibo, sui corpi. Vischio e rigonfio di maschio. Non era: mista di sangue – non eri. Mio padre.
Ma una mole di lardo – esibito e ostentato, in ottima salute! – per soffocare. Tutto. E non si dice. Nella mia famiglia non si parla. Punto. Ubi maior, minor/rigor mortis. E non si piange. I deboli e i malati piangono. Secca la lacrima chiara: «quella ragazza ha dei problemi. È da curare: non è normale». Vomito la tua morale [normale?]: chi ha il soldo ha lo scettro. Finito l’obbligo. Libera dal castigo.
Non nominare un padre, invano.
Sorpresa e inattesa: il bianco latte è bianco zanna e ora – dove lo meni il tuo bianco sborra? E come ti gira il giorno della gola? La lama fa paura? O si fredda o si fugge. La figlia che non volevi [e volevi fottere] è femmina. Adulta. Adulterata.
Non vuoi più che ti chiami padre?
«Me ne vado, ma tu non duri. Si vede: sei una suicida». Del crepato come/quando non è certezza. Non io a farti strada. Prima la bava poi la bile! E nel lasso, sciolto il laccio, cosa hai concluso? Una causa. Una giusta [un’altra] sposa. Io resto. E non dimentico. Eppure scrive. Nel nome del Padre – che la firma.
E Daino non crede.
Più. Alle prediche. Alle parole. Ai molti maschi. Al morbo che mi volete. Alla maschera di morte. Alle mani: si vuole muta, mantide, misera. Forse non sono: io. Non sapete. Non è vista al di là. Cavalca una cometa. La capisci? Tu dici? Non incassa. Incalza. Incede. Previsioni del tempo?
Après moi, le déluge…
C.D.