«Se mi etichetti mi annulli» avvertiva Søren Kierkegaard secoli prima che la classificazione
di genere e per
genere degenerasse in un feticismo categorico da neologismo compulsivo. Similmente: etichettare Luca Gualco sarebbe riduttivo e pretestuoso. E chi scrive – scrive «etichettare Luca Gualco» e non «etichettare il disco di» proprio per l’identità che equipara Artista e Opera.
Scrivere di
Ballata sull’oceano [Maia Records, 2011], al di là dell’eccellenza tecnica e delle ritmiche personali, frutto di una tradizione carica di sapienzialità e guizzo soggettivo – è come
danzare di architettura, per citare Frank Zappa, per ricordare il valore primevo del Suono. Compito della Parola è farsi ponte perché lo strumentale sia perspicuo all’anima e proprio di anima è intrisa ogni traccia [e si usa
traccia come sinonimo di
segno e di
solco destinato a restare e ad incidere, risparmiandovi l’infinita ma produttiva discussione storico/filologica circa brani/Lieder/canzoni/pezzi che Gualco e Daino ebbero nello studio Maia, per
croce e delizia, chiara Violetta, di Verdiano Vera e dei presenti].
Qualcuno mi disse: «ascolta Mozart e suona Beethoven; leggi Carducci e scrivi Foscolo», ma questa è la fase dello studio e, anche se non dimentico alcun consiglio, come posso tradurre al prossimo un ego maturo e maturato? Recensire un’Opera strumentale è come recensire una silloge poetica: il rischio primo è rivolgersi solo agli «addetti ai lavori» e, padroneggiati i cinque tasti neri e i sette tasti bianchi; digerite le vocali come sette e non cinque; consolidate qualità e maestria [mai capito le stroncature, ma questo è un problema dell’Autore che rivolge occhio e timpano alla Bellezza e al futurare la Bellezza] – l’impresa è sempre diffondere un messaggio.
E messaggero senza tempo [mi sia perdonato il parallelo comparativo di natura
draculea], Luca Gualco attraversa
gli oceani del tempo per una volere determinato e consapevole, volere che formulò con precisione, dopo aver intonato una famosa
bagatella in La minore e dopo aver parlato di dodecafonia; dopo aver spiegato che cosa si debba intendere per musica primitiva e musica classica; dopo aver analizzato la differenza tra musica classica contemporanea e masturbazioni mentali; dopo Vangelis e Stockhausen – Gualco riassunse tutto e tutto il suo essere, dichiarando: «la mia musica suona così». Punto. E fece l’amore col pianoforte. E divenne il pianoforte. Punto e a capo.
Riccardo Storti, nel suo
articolo, già sottolineò come le sonorità di
Ballata sull’oceano ricordino, per fraseggi e costruzioni, Chopin ed Einaudi – nell’attuffo di atmosfere che sono naturalmente adatte al ruolo di colonne sonore/colonne spinali. Pure, citati i maestri e puntualizzati i possibili echi e richiami, non bisogna mai tralasciare l’essenziale inciso da Novalis: «
ogni uomo ha il suo ritmo individuale».
E ancora: «senso ritmico è genio». E in questo fiammare trovo l’indole vitale di Gualco, indole incarnatasi in spartiti con un ricettario preciso: «ogni malattia è un problema musicale – la guarigione una soluzione musicale».
Tra silenzi come risacche, partiture come gocciare gravido e fluido, l’intuizione suggerita a chi ascolta è un’altalena tra l’emergere e l’immergersi in quell’
aqua rosa – dalle molteplici suggestioni sinestetiche: le radici latine [che Gualco tiene a precisare non sia un errore di stampa!] e il profumo e il colore dell’acqua come specchio, ma anche «rosa» come «corrosa», come lavorìo marino dell’Artista che strappa nuovi mondi al silenzio – sì come il mare plasma lo scoglio, sì come
l’uomo libero di Baudelaire che Gualco impersona, per una
Ballata sull’oceano:
«Uomo libero, amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima
nello svolgersi infinito della sua onda,
e il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
l’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore
si distrae a volte dal suo battito
al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
Siete entrambi tenebrosi e discreti:
Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
vi combattete senza pietà né rimorsi,
Talmente amate la carneficina e la morte,
O eterni rivali, o fratelli implacabili!»
Per concludere e ricominciare:
de titolatione. Confrontandosi col Maestro Lorenzo Pagliei, chi scrive schierò ogni singolo neurone per penetrare la
ragione prima di un titolo laddove non esista testo o libretto [e non rari sono i casi di titolazioni a firma di terzi in ambito Classico] e per questo si riporta lo sgrano dei titoli: per evidenziare la volontà evocativa di Gualco, volontà che è scintilla per le sinapsi e la sensibilità, storica ed emotiva, di chi riceve [si confronti: ascoltare il disco e rivedere in cranio la
Ballata del mare salato e Corto Maltese e Hugo Pratt, con rapide incursioni di Ophelia e Millais]. Ed è una
corrente ascensionale che cambia prospettiva, tra abissi e subissi, partenze e ritorni, esplora i fondali e poi s’innalza, fino al lato luminoso che le stelle nascondono a chi non sa percepire – la tasca interna della Creazione.
01) Il ritorno delle onde
02) Mare d’argento
03) Il leone del golfo
04) L’arrivo
05) La fine dell’onda
06) Prima dell’acqua
07) Aqua rosa
08) Una goccia
09) Gocce
10) Il sogno di un pesce
11) Paesaggi Lontani
12) Sopra il cielo
13) Ballata sull’oceano
14) La luce dietro le stelle
Bonus track: Fiorellino Baio