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28 Luglio 2015 - LA MERCA A PEZZI
La Merca in un’immagine
“Giù le mani dai miei capelli!”
Se la merca è un marchio che imprime a fuoco la pelle e diventa simbolo di “diversità”, allora è anche simbolo di etichetta stregonesca. E la Storia ci insegna (tristemente/tragicamente) che la ricerca di questo marchio equivale ad addentrarsi in un territorio inquisitivo di stampo medievale. Materiale incandescente, quindi, e materiale che brucia e consuma: il rosso che pervade la copertina del libro e la figura bianca stilizzata – “esaurita/consunta” – che rimanda all’immagine di una strega (appunto). E di questa strega (r)esistono solo i capelli, come fossero l’unico arto capace di avvolgere ed essere in contatto col mondo circostante: filamenti che scaturiscono dal cranio dell’individuo e ne trasmettono, dunque, l’essenza più pura.
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, Paul Gauguin
La Merca in tre atti1
“DOVE SONO?”
“CHI SONO!”
“DOVE VANNO”
La Merca è dramma esistenziale, suddiviso in tre parti, ma si tratta di disagio esistenziale e – in quanto tale – confusionario e frammentario. L’essere che si chiede “chi è”, “da dove viene” e “dove è diretto”, (qui), pone la questione in maniera diversa, affermando la propria individualità: “Dove sono” è l’unico interrogativo, “Chi sono” diventa esclamazione di sé e (soprattutto) “Dove vanno” – né domanda, né esclamazione, ma mera constatazione di fatto. È un essere, quindi, che si “riconosce” – suo malgrado – nel marchio impresso, un essere “diverso” che rifiuta il mondo messo in scena e la salvezza2 che questo gli offre. In un epilogo teatrale, in cui tutti i personaggi s’incontrano, per una sorta di resa dei conti (che cuce i pezzi del racconto e rende l’idea d’insieme della narrazione), infatti, Jenny si dissolve, per affermare la propria esistenza.
La Merca e la diversità
“Fiera di essere. Diversa, dal colore dei capelli, fino all’ultima goccia di plasma.”
La Merca ostenta un’orgogliosa diversità (intesa come “individualità”), ma non è oltraggioso e non è scabrosamente gratuito, laddove lo si possa considerare “scabroso”: i temi affrontati sono delicati e difficili e proprio per questo non si possono affettare/edulcorare. I valori morali contenuti tra le sue pagine non si possono liquidare sbrigativamente e non si possono comparare con quelli comunemente accettati dalla società (o almeno dalla maggior parte di essa). Costituiscono un marchio indelebile che si preferisce nascondere/reprimere, oppure far finta non esista. Jenny è chiamata a mutare, gradualmente, pelle, per liberarsi del marchio che non le appartiene e imparare a imprimere (invece) il suo.
La Merca e l’Inferno
“Tu sai perfettamente che questo non è il tuo posto. È il nostro. Non ci piace, ma l’abbiamo scelto. Tu no. Ti trovi in una realtà che non ti appartiene e non conosci.”
La Merca è un inferno personale e – in quanto tale – un libro che sembra non voglia essere letto, ma che deve essere scritto – per forza e istinto di sopravvivenza. Dopo appena poche pagine di lettura, ci si trova di fronte a un monito da Divina Commedia (il classico “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”), non certo incoraggiante. Ma questo monito – in realtà – è invito per il lettore a essere paziente e attento, perché solo così egli può comprendere che la storia della protagonista è in grado di assumere una connotazione “universale”3 . Jenny attraversa il suo girone infernale per raggiungere una sua forma di ascesi: rifiuta il mondo (così com’è – consapevole che può essere altro), ma non rifiuta la vita. E il suo mostrarsi/narrarsi non può che essere crudo, amaro, ironicamente cinico, intenso e profondo.
La Merca e la morte
“Jenny sosteneva che la morte fosse Puttana Fedele alla sua promessa: concedersi a tutti.”
Jenny è un personaggio malato, che sembra destinato – irrimediabilmente – a soccombere (anzi, emerge forte – addirittura – un vero e proprio senso di autodistruzione). Ma è anche un personaggio calato in una realtà in cui morbo e cura potrebbero non essere tali, un mondo in cui la patologia può essere facilmente inflitta, più che diagnosticata. La morte può apparire, così, come liberazione, quando (invece) è solo ineluttabile. E nel giungere al “Dove vanno”, proprio la morte diventa l’elemento che accomuna i personaggi della storia, con lo sguardo esterno di Jenny che offre una doppia lettura della situazione: 1) lei non li vuole seguire e vuole solo essere lasciata in pace – essere solo sé stessa [e magari diventando un’altra]; 2) lei è tra loro in forma incorporea e lascia aleggiare nell’aria un insegnamento fondamentale: l’unica cosa che conta è il “Come arrivarci”.
La Merca e l’amore
“L’UNICO DO SENZA UT”
L’amore che marchia “La Merca” è cristiano e, quindi, lo si affronta secondo un concetto divino, una concezione del termine il più ampia possibile. E il donare/donarsi di Jenny appare come il disperato tentativo di trovare un simile amore in un mondo (dis)umano. Jenny (“soma e somara”) diventa emblema di peccato e redenzione, perché sceglie di amare in un mondo che non può concepire/percepire il suo modo di amare, un mondo dove non è possibile ricevere senza essere obbligati a dare. E Jenny si consuma ed esaurisce proprio per dimostrare l’esistenza di un amore altro4 – un’eroina anti-tutto (vedere pag. 109) all’interno di una società omologante, per cui il suo amare non può che rifiutare qualsiasi forma di condizionamento e “prigionia”.
Giuseppe Vuolo
NOTE
1: È possibile effettuare una piccola riflessione sull’uso simbolico del numero 3, poiché Jenny si dichiara cristiana e già questo rimanda, inevitabilmente, al concetto di Trinità; la Divina Commedia è suddivisa in tre parti e “La Merca” può essere associato a una sorta di girone infernale personale. L’epilogo della vicenda si compie in marzo, il giorno del compleanno della protagonista, e tre all’anno sono le volte in cui Jenny banchetta.
2: È necessario aprire un’ulteriore breve parentesi anche sul concetto di “salvazione”, poiché esso rimanda a una dimensione spirituale di peccato e redenzione dell’anima che passa attraverso tre stati ultraterreni: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
3: Quest’affermazione che può apparire semplicistica o pretestuosa si ritiene, invece, sia resa evidente dal titolo di un capitolo: “UNA GENERAZIONE CHE HA TUTTO IL SUPERFLUO (TRANNE IL NECESSARIO)”. Più esplicito ed essenziale di così, cosa?
4: È possibile pensare a un ribaltamento del concetto di sacrificio cristiano: Jenny rifiuta la salvezza [offerta dall’uomo – non quella dell’amore divino], ma rifiuta anche di sacrificarsi per gli altri, perché si trova in un mondo che non può essere redento – e che non merita, quindi, il suo sacrificio.
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