CORPI DI CARTA CHIARA |
Estratto da PostPopuli 08 Gennaio 2014 16:00:00 |
C’era una volta una bambina vestita da bambino.
perché durante il Regno degli Anni ’80 le vesti dei fratelli maggiori si passavano di cugino in cugino, di consanguineo in consanguineo, badando unicamente alla praticità e al risparmio [per le stesse ragioni: la bambina, sfoggiava la classica scodella, in mirabile incrocio tra un Frate, un Fungo e Fantaghirò].
La bimba di questa nostra storia, inoltre, per capriccio della sorte, soffre di un morbo chiamato ambliopia che sposa lo strabismo su base nervosa e durante il primo lustro della sua vita trotterellò per il mondo con una benda sull’occhio destro, assomigliando più a un pirata che a una principessa. Precisamente e col senno di poi: era una miniatura di Halloween Jack.
Alla bimba, tuttavia, non importava e mentre le altre bambine del Regno tubavano e starnazzavano «sposerò Simon Le Bon», lei giurava «io sarò Jareth» e, per molti mesi, ruppe le palle – di vetro con neve [tentando improbabili giochi di prestigio]. Minotauro rinchiuso nel Labirinto di Jim Henson, la bimba percorse per anni la «Scala di Penrose», l’impossibile scala infinita, l’unica rampa uroborica, avvantaggiata dalla visione «in due dimensioni»: Klimmen en dalen, salita e discesa, discesa e salita…
Accompagnata dal Re dei Goblin, sedotta [durante il Regno degli Anni ’80 nessuno spolmonò «allo scandalo» per la sottesa intesa amorosa tra un uomo maturo e una giovin donzella, permettendo a tutti i bimbi del mondo di godersi Labyrinth, fascinati e felici].
La bimba «dagli occhi diversi», crescendo, notò che tutte le altre bambine – ad un certo punto – sviluppavano attributi femminili tondeggianti capaci di riscuotere ammirazione e bramosia. Lei no. E cominciarono a regalarle soprannomi duri e secchi come lo scheletro che era. Per ovviare all’inquietudine del suo aspetto ambiguo [non certo aiutato dal frequentare campi di calcio e una compagnia di soli maschi] si lasciò crescere i capelli tingendoli di ogni colore le avesse suggerito l’animo – parecchie primavere prima che Tonks «facesse scuola» col suo delirio tricotico.
Dissociata e in cerca di un ruolo, la bimba ormai cresciuta, non poté trovar altro rifugio che il Teatro e il destino le affidò il personaggio decisivo: «l’Oblio», una sorta di divinità contrapposta a «La Memoria»; un nume dall’aspetto androgino e beffardo [e rimase inciso nella memoria collettiva l’urlo disumano della coreografa per tacere la protesta sorta dall’aver affidato a quella «cosa antipatica» la parte da protagonista: «non possiamo farle interpretare Filumena Marturano! Abbiamo un androgino, usiamolo»].
E così, per legge prima del Teatro, esasperarono quel che le era congenito: la issarono su stivali cuissard bianchi con zeppa di quindici centimetri [da copione: doveva sormontare tutti gli altri interpreti e, per fortuna, non sviluppò le tette, ma si stirò lungo un metro e settanta]; la strizzarono in una guêpière di pizzo virginale e l’addobbarono con una smoking jacket color ghiaccio. Da ultimo: la sua chioma fu «tutta cromata» e scolpita ricopiando il rosso e il taglio di Ziggy Stardust.
La Dama Bianca era nata – come figlia e frutto di quel Thin White Duke.
Ed eccola, oggi 8 gennaio 2014, a scrivere grazie: «gioioso genetliaco, grandioso Papà».
Da Dama a Duca