Chiara Daino
CORPI DI CARTA CHIARA
DEA CULPA BREVIARIO PER L'ANIMA STANCA DEA CULPA BREVIARIO PER L'ANIMA STANCA
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2023, Poemetto Grafico
DIÖSTERIA DIÖSTERIA
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2023, Stornelli
5 MARZO IL 5 MARZO IL "RIGORE" DI PASOLINI
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2022, Poemetto Grafico
CARO COLLEGA - Storielle facili per colleghi storici CARO COLLEGA - STORIELLE FACILI PER COLLEGHI STORICI
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2021, Satira sociale
VIRUS 71 VIRUS 71
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2020, Versi
Gloria [Film ante Milf] GLORIA [FILM ANTE MILF]
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2020, Combo
LA MERCA LA MERCA
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2019, Romanzo
Metalli Commedia METALLI COMMEDIA
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2019, Poema Borchiato
SIETE DEI SIETE DEI
Il Leggio
2016, Racconti
L'Arte del Ragno L'ARTE DEL RAGNO
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2015, Versi
Al Pubblico Nemico AL PUBBLICO NEMICO
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2014, Critica
Siamo Soli [morirò a Parigi] SIAMO SOLI [MORIRÒ A PARIGI]
Zona Editrice
2013, Romanzo
L'Eretista L'ERETISTA
Sigismundus Editrice
2011, Romanzo
Lupus Metallorum LUPUS METALLORUM
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2011, Opera Martire
Metalli Commedia METALLI COMMEDIA
Thauma Edizioni
2010, Poema Borchiato
Virus 71 VIRUS 71
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2010, Versi
La Merca LA MERCA
Fara Editore
2006, Romanzo
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02 Agosto 2010 23:58:14
Chi ha spalle larghe – ha spalle stanche. Punto. E croce di Atlante: reggere *tutte* le volte. Ogni volta: sia cielo, sia globo. Sia clima, sia crono. È il mestiere del figlio, di quello più indegno: portare *tutto* il peso e pagare pegno! Il *tutto* per il solito trito e contrito disegno: perverso meccanismo cacato dall’alto e calcato dall’atro. E il formicaio continua nell’eterno stramaledire un solo formichiere, senza osare chiamare “per nome” quella Lingua dalle mille catene, quel Demone che forgia manette grandi settanta volte sette, quello che la ???? t’ha ingollato e il ??e?µa t’ha ingolfato – fino all’escissione della polpa, non è che quell’innato – antropico e archetipico – “senso di colpa”.
[Senso di colpa che, giusto per, non provo per aver scritto “antropico e archetipico”: esiste un motivo se esiste il dizionario!]. Senso di colpa che No! Non più, quanto meno. E poso *tutto* il globo e, nel più gentile scrollardispalle possibile, lascio al prossimo tuo il peso delle stelle. L’Arte è così colpevole? Ci sono colpe e colpe. Assume e si assume solo le sue. E rifiuta di sentirsi in colpa anche per la “morte delle cellule epidermiche” [ormai si sposano *tutte* le cause: sia fede sia fuffa, lei non capisce la “Comunione Culicoidea”... Per quanto interessante l’etica ematofaga: ha spappolato, armata di Mammut, più di una zanzara. Con buona pace di Leopardi e del suo Zibaldone, ricreato entomicida perché anche l’insetto provi il peso della Cultura].
In questo stato necrofilo, lei non scriverà l’ode «al fu Culex pipiens» e senza un senso di colpa uno! Lei si sentirà in colpa nel se e nel quando aizzerà Burzum contro il vicino [e fuor di metafora: proprio Varg, fisicamente e follemente Varg!]; lei si sentirà in colpa quando tradirà la fiamma chiara di quella verità che la vessa, la valica e l’invasa; lei si sentirà in colpa quando sentirà che si è tradita da sola cercando una più comoda via di riuscita; lei si sentirà in colpa quando sarà davvero troppo stanca per scrivere un’altra parola.
E lei si smazza un assurdo senso di colpa. Quello della pupilla muta. Lei vede e – troppo spesso tace – *tutte* le colonne armate di cazzate, tutte le *colonne* di armate cazzate! Sicché è triplice quel battersi il petto quando non ne ha. Voglia. E batte il piede per un auspicio favorevole e batte in testa quel *pavire* per non più patire e, passivamente, subire. E per tre volte si rinnega [intanto il pavone ha già cantato, il cigno pure e la sirena se la ride] e rinnega quella sua natura difettosa, incapace di comunicare. In una grammatica piana, con il sorriso sacrosceno della velina, nel sacrosanto parafrasare un motivetto strafritto. Lei non è capace. E se non è capace, è paradosso: può un vaso non essere *capace*? Allora: è di coccio! E rotto per rotto, rimanda al mittente ogni rottinculo! Nel frantumo delle più semplici realtà. La Pangea si è spezzata? Ti gggiuro: non è colpa tua! La Banffia si è estinta? Ti gggiuro: non è colpa tua! Puoi teletrasportare i quanti, ma non sai ancora come riassemblarli per eliminare l’inquinamento? Ti gggiuro: non è colpa tua! [Però, magari, evita di lasciare tutti quei *quanti* in giro... Pare brutto aumentare l’entropia...].
«Ma che colpa abbiamo noi?» chiedevano, retorici. «I Won't Pay Your Price» forgiarono, i mitici. E a noi cosa resta se non il dirci complici di crimini mai commessi? Quali futuri futura: il senso di colpa? Ben venga sentirsi «una merda», ma se la merda non concima – è solo un sentirsi boia quando, invece, si è vittima. Tutta la natura è dicotomica, ma sulle mie labbra non resta che una supplica: lìberati dal senso di colpa! Noi liberàti, porgiamo l’altra guancia: è la gota dell’anima libera! E ora, prova: a colpirla!
Basta una parola: responsabilità. Ognuno risponda della propria e personale: colpa effettiva. Se tu non mi capisci: è colpa mia che non so spiegarmi [e un po’ è anche colpa tua che – per tutti i Lawrence, se DECIDI di leggere dei serpenti piumati – potresti anche sforzarti!]. Se hai maciullato le gonadi di chiunque perché siamo degli insensibili che non capiscono il dramma motorio dei fenicotteri e poi ti lamenti giacché non pubblichi i rosati versi che zampetti: è colpa tua! Se vuoi solo *farti fregiare* del «bravo-bene-bis-cha-cha!» o del «quanto sei fica!» o «rimediare fica»: prepara la bocca all’amara moneta, perché sarà solo colpa tua se – lo sai, che poi, ti lamenti – non ti si considera come un/una Artista! Se sprechi pixel perché la «Critica della ragion pura» sia insegnata ai bambini di Ogle, ricorda che le mamme dei bambini di Ogle, per farsi obbedire, li minacciano di spedirli sulla Terra...
Spiegatemi dunque quale “senso compiuto” genera il “senso di colpa”? [Sì, lo so, è una frase anfibia! Colpa della resina classica!]. E vi spiega perché si sente a disagio nel fluido mucoso e purulento del più viscoso buonismo! È satura del pietismo del qualunquismo e di ogni –ismo che è il medesimo: senso di colpa. Espiato e da espiare. Non ha peccato originale. Non è un peccato: essere. Una merda coerente. E cercare, per come si può, di concimare: le proprie, misere, zolle. Forse solo chi è davvero folle non si nasconde dietro un dito, dietro il pulpito dell’attributo «corretto». Forse solo chi è davvero folle alza un dito, quello medio, per raccontarti davvero chi è e che cosa sente – alla luce delle coordinate [storiche/geografiche/personali] che l’hanno formato. Forse solo chi è davvero folle ti darà quel dito e poi la mano e poi tutto il braccio, sapendo benissimo, sapendo da prima – che quel che ti avrà dato, per te, sarà solo: «un atto dovuto!». E quel folle è forse solo il più solo, è chi non ha più voglia di chiedere aiuto. Ti ha concesso e si è concesso. Il lusso di essere – un amico. Poi, con permesso, si ritira dalle scene perché è sempre lo stesso copione. E non sopporta [non ha mai sopportato!] il recitare senza l’anima dell’Attore. Gavetta l’anima sdrucciola...
Questa comoda tuttocrazia/tuttomanzia vi comoda? Togliete la mia sedia! Sono una merda d’acqua. E ripassa la storia di Medusa, e la violenza del dio del mare! Quel mediatico massivo coccodrilare vi rende l’umano migliore? Fatemi capire! È così difficile accettare sia uno solo il nodo dell’esistere? «The answer to life's mystery/ is simple and direct/Sex and Death!/La risposta all’arcano della vita/è chiara e forte/Sesso e Morte!».
La verità è che niente e nessuno farà mai: abbastanza. C’è solo chi ragiona abbastanza – da cambiare l’universo partendo dal metro quadro della sua esistenza. Senza piangere per ragioni di circostanza.



Two Leaves di Davide Barabino

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