CORPI DI CARTA CHIARA |
Estratto da Moulin Rouge 26 Febbraio 2008 01:07:00 |
TRE TEMPI DA AMLETO
nella traduzione di Massimo Sannelli
lettura di Maura Di Antonio
commento di Massimo Sannelli
mercoledì 27 febbraio 2008
ore 17
CAFÉ REALE BAR
(Mostra di Valerio Castello) Vico S. Antonio
Genova
I, 2
Se questa carne, in cui niente è tenero,
ricadesse in rugiada! Se l’Eterno
non fosse giudice contro il suicidio!
O Dio! Mio Dio! Quanto è sterile e vuoto
e marcio il mondo! Il mondo, e i suoi costumi.
Questo giardino è fatto di gramigna,
vegetazione immonda: ma qui vince.
Noi siamo a questo punto: è morto il re,
da due mesi… meno… neanche due…
Un re eccellente come un Iperione
– davanti a lui, quest’altro sembra un satiro –
innamorato della sposa al punto
che impediva al vento di sfiorarla.
O Cielo! Terra! Devo ricordarlo?
Lei lo adorava, con un desiderio
che nasceva da lui, sempre… e ancora…
E ora – dopo un mese, un solo mese…
Fragilità, il tuo nome è Donna.
Un minuscolo mese. E ancora nuove
le scarpette con cui seguì la salma,
come una Nìobe in lacrime! È la stessa,
– Cristo! una bestia idiota avrebbe atteso
più a lungo – ed è la stessa che ha sposato
il fratello di mio padre, simile
a mio padre quanto io ad Ercole!
Un mese. Un mese basta. Quando il sale
delle sue brutte lacrime le arrossa
ancora gli occhi, si risposa. Fretta
ripugnante; leggera corsa, al letto
del loro incesto; una cosa non buona,
da cui non verrà il bene. Ora ti spezzo,
cuore, e ti freno, lingua.
III, 1
Essere. O non essere. O l’uno. O l’altro.
Che cosa è meglio? Patire gli strali
e i colpi di balestra di una sorte
oltraggiosa? Aggredire con le armi
l’abisso degli affanni, e contrastarli,
fino in fondo? La morte. Solo il sonno,
nient’altro. Poi, convincersi che il sonno
sarà la fine delle fitte al cuore
e delle malattie che per natura
colpiscono la carne degli uomini.
Devotamente, sì, devotamente,
dobbiamo implorare questa grazia.
Morte. Sonno. Sonno? Forse sognare.
Il nodo è questo: quali sogni
arriveranno a noi, dopo l’uscita
da tutti i suoni del mondo mortale –
ecco un’idea che deve trattenerci.
Ed ecco il dubbio che mantiene in vita
ogni infelice. Chi sopporterebbe
lo sputo e lo scudiscio di ogni tempo,
il muso del tiranno, e le facezie
dell’orgoglio, e la pena dell’amore
non amato, e le léggi trascurate,
l’arroganza dall’alto e poi gli oltraggi
degli indegni sul degno, che è paziente –
chi li sopporterebbe, se il pugnale
ti concede la quiete, con un colpo?
Chi accetterebbe il peso della vita,
tra sudore e bestemmie? E la stanchezza.
È solo la paura della cosa
che seguirà la morte, quella terra
da cui nessuno torna – è la paura
che preme sulla nostra volontà
e ci fa radicare nel presente
deforme e non volare all’altro tempo
ignoto? La coscienza, la coscienza
ci rende tutti vili: tutti. Ecco
come il colore della volontà
si stempera e rovina contro il buio,
e come può arenarsi un gesto audace,
perdendo il primo nome, che fu “azione”.
Vedo la bella Ofelia. Quando preghi,
Ninfa, intercedi per i miei peccati.
III, 7
Ogni occasione agisce per mio danno:
perciò mi aizza a ribellarmi, debole.
Non sei migliore delle bestie, uomo,
se la tua vita è serva dello stomaco
e del sonno. Chi fece a noi la mente
capace del passato e del futuro
non elargì questo dono assoluto
perché ammuffisse, senza agire, in ozio.
Forse è il letargo di una bestia, forse
il vizio di studiare sempre tutto
(allora nella mente stanno tre
parti di codardìa e una di senno) –
e dico sempre, solo, “devo agire!”
quando ho motivo e forza, volontà
e mezzi, per agire. E ho anche esempi
grandi come la terra, che mi spronano:
è un esercito forte, e ha come capo
un principe gentile, posseduto
da uno spirito sacro, e allora osa
sfidare l’invisibile ed esporre
la polvere dell’uomo alla fortuna,
alla devastazione e ai massacri.
Per che cosa? Per cosa? Un guscio d’uovo!
Non c’è niente di grande in una guerra
che ha un grande motivo. È grande chi
diventa eroe per un filo di paglia,
se è questione di onore. E io, che ho un padre
assassinato e una madre puttana,
quanto basta a eccitare sangue e mente,
sembro un uomo che dorme, e a mia vergogna
ventimila soldati sono qui,
attratti dalla morte, con i sensi
tesi alla tomba: la credono un letto.
Per una fantasia, per uno scherzo,
muoiono, in un orto troppo piccolo
per tutti, che non basta a seppellirli.
D’ora in avanti, se non penso al sangue,
che io non pensi affatto.
MAURA DI ANTONIO
Si è laureata in Filosofia presso l’Università di Genova e in Psicologia presso l’Università di Pavia. Per circa venti anni ha svolto attività teatrali come attrice, regista, insegnante di Recitazione, di Arte scenica e di Tecniche di comunicazione presso scuole private, dopo una rigorosa formazione alle scuole di Dario Fo, Marcello Bartoli, Elio De Capitani. Ha diretto e interpretato, con i suoi allievi, l’Antigone di Sofocle (Bogliasco, 2008).
E-mail: mauradiantonio@libero.it
MASSIMO SANNELLI
Laureato in Lettere presso l’Università di Genova e dottore di ricerca in Filologia Latina medievale presso la Fondazione Franceschini (Firenze). Dal 1994 opera come scrittore, traduttore, critico ed editor, con frequenti azioni pubbliche, in Italia e all’estero. Dal 2001 tiene corsi di poesia nella scuola pubblica. Il suo sito personale è www.massimosannelli.splinder.com
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C.D.