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L’atelier e altri racconti (Pirella, 1987)
Da La decollazione di S. Giovanni Battista (Caravaggio, Malta, La Valletta)
Le decapitazioni avvengono al buio. Sono atti della notte. Ma per mostrarle al vostro occhio calmo e renderle reali occorre luce. La violenza del sangue ininterrotto, il volto terreo, la bocca storta svuotata del’ultimo urlo del condannato, il sudore del boia illividito, il suo ansimare greve. La luce svela l’orrore, senza di lui nessuno saprebbe. Né chi compie l’atto né chi lo subisce. Solo chi è oltre questo luogo torvo e straziato può vederlo, definire i contorni precisi degli oggetti, i personaggi – protagonisti e comparse – e forse fare giustizia, travolto da quella spietata chiarezza che si rovescia a fiotti e tutto intride di sé come sangue indelebile. Quello che vedete non è lamento, fremito, disperazione e rabbia – misteri dell’anima e del corpo martoriati – ma solo gesti concitati, enfatici, illusi di fissare nell’aria quella materia solo impalpabile, e le superfici levigate della carne, drappeggiate appena da teli chiari e profondi velluti.
Chiamo i compagni di una sera di sbornie a farsi ritrarre per una pinta di vino: mani e piedi tozzi, viso convulso, segnato da pena e ingiustizia. Uomini veri e non figure idealizzate di chi rifiuta la realtà e non l’affronta corpo a corpo, amica e nemica.
Ma ho capito che è impossibile comunicare il furore, l’ansia che esorcizzo nei visi interroganti dei miei martiri, nell’agonia.
Ciò che dipingo sarà sempre spettacolo di forme e la forma è compatta, separata dall’aria – non posso sottrarmi alla sua chiusa bellezza, ai suoi intimi accordi, ai suoi ritmi che rispondono a luoghi esatti dello spazio. Vedere e poi mostrare, senza tradire ciò che si è visto, senza violentare - escludendola - la parte invisibile, oscura. Perché allora la mano sa solo inseguire armonie perfette di linee e colori che invece sento sempre più tendersi, lacerarsi?
Dipingo ciò che guardo ma non quello che interamente vedo. È il confine dello sguardo il luogo dove l’invisibile vorrebbe esplodere dalla forma che lo imprigiona. O forse io profano qualcosa di sacro, non percepibile ai sensi degli occhi, tentando invano di portarlo alla luce e chiarirlo a voi e me stesso?
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