Lucetta Frisa
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L’emozione dell’aria (CFR, 2011)

Pavane pour une enfante défunte
(Maurice Ravel)

distesa
se si alzasse ora sarebbe morta
è vecchia anche se sembra giovane.
ha solo tenuto duro: immobile
per non perdere i capelli
scriversi le rughe col coltello
non avvizzire di lacrime
Ha compassione
di chi non è partito spaccando il muro
ha compassione
di chi partendo patisce altri dolori:
soltanto questo lascia dietro a sé
Di stagione in stagione lei volò
senza un respiro grande
non si definì non si sfogliò
subito raggiunse la radice
Ora con gli occhi in questo buio secco
lo prega di non chiederle più nulla
farla dormire in pace
Le cose sono abituate ad andar via
lasciano la loro gravità
come aloni sulla cera
L’asse terrestre
ruota
intorno a un divano torpido


La rêveuse
(Marin Marais)

le cose si avvicinano
nella confidenza sonora:
lo stato della grazia
è la più alta illusione illuminata
dal sole animale
la sognatrice
entra nelle creature
scuotendosi la polvere aliena della mente
le rispondono
i minerali e gli astri:
sono solo sogni
ma a diverse velocità del fluire
echi
contrappunti
della stessa placenta
dei solidi e dei liquidi
dei morti e dei vivi.
lei attraversa
tutti gli stati d’animo come
il periplo dei venti
le fasi dell’incandescenza
ma si sente sbiancata
e non riesce a parlare
oppure è solo la stanza
vaso silenzioso?
Ancora non hai nessun profilo
– le dice il sogno – neppure
quello che i fari dalla strada
proiettano sul muro


For children
(Bela Bartòk)

Il mio ideale è maturare verso l’infanzia.
Bruno Schulz

la stanza nel buio si colora.
sono palloncini le note?
bisbigliano tra lampadario e soffitto
si fermano
sulla soglia di casa

il mare è qui sul pavimento
sale ad accarezzarci il collo
dammi la mano per entrarci dentro
piano
senza le scarpe
come dentro un tempio

una mattina al mercato dei palloncini erano legati a un albero
pronti a scattare in alto ne chiese uno ma non riuscirono subito a slegarlo
e infine eccolo tra le sue mani, rosso: si afflosciò subito.


dammi il coltello
tutto va preso a squarci a morsi –
è così che si diventa adulti.

pose timida il dito sopra un tasto del pianoforte e l’universo esplose
– era gonfio e invisibile? Abracadabra abracadabra
gola orecchi occhi a quel tocco si spalancarono


abracadabra
se potessi
ripetere quel suono
e lo stupore

ma stasera
giochiamo a palla sulle onde
in questa stanza sul mare
voliamo alto

se potessi
posare ancora il dito sulla tastiera
ripetere
quel suono e lo stupore

abracadabra
abracadabra

dammi l’ago e dammi
filo e forbici
voglio cucire
ricucire
scucire il mondo


Abîme des oiseaux
(Olivier Messiaen)

dalle prigioni
si guardano volare gli uccelli –
la stanza
sigillata
non si apre
in una parte della mente
altre leggi o nessuna
altre terre senza acqua e ossigeno
fra nebulose –
è l’abisso degli uccelli?
stanotte
nel cielo caldo
i punti delle stelle
sembrano mosche intorpidite
o uccelli in posa a luccicare
in un’altra gabbia
Si suona nel lager ma nessuno vola
e qui un velo di note
ci allontana dall’orrore e noi
noi si aprirà le dita
per segnare l’ombra delle ali
sulle tombe
perché gli uccelli la vedano


La mer
(Claude Debussy)

Gli scontri umani avvengono in alto disse Lucrezio
tutto si genera tra masse potenti di nuvole
fame e desiderio principio e fine di storie e stelle.
La tramontana sull’acqua è fremito ma sulla pelle
è ruga, dico, e tu sulla minitastiera simuli
la furia marina in questa notte ancora estiva ma perdonami
se penso solo alla tramontana buia:
mai mettersi in mare dicono i pescatori le barche
si rovesciano i pesci affondano la caligine si conficca
i piedi perdono i passi nessun vecchio marinaio
ritorna a raccontare neppure si riesce a dormire
tra le coperte neppure in sogno si fugge e il cane
invecchia di colpo.
È questa la tramontana buia? È il vento chiuso nella casa?
Che bravo sei – dico – e ti applaudo ti applaudo


Toccata settima
(Girolamo Frescobaldi)

una scala sale e poi si ferma
resta lì a creare
altre scale
senza condurci
da nessuna parte
l’aria chiama slanci
verso un aperto sempre più aperto
un alto sempre più alto
una stanza d’aria ferma
ha il peso specifico
dell’arabesco vaporoso
che non snida nulla
la mia carezza resta a metà –
si crea a cerchio la sua aria
foglia che non va
né su né giù.
Dove siete anime dei cieli promessi?
qui non ci sono voci
né parole, nulla progredisce
o torna, si danza o si fa finta
su passi sottili
distanti dal pensiero

e io ti chiedo: dove sei?
e tu rispondi: dove sei?
non c’è nessuno qui, neppure noi


Concerto per la mano sinistra
(Maurice Ravel)

se il disordine segna i cambiamenti
riaffiorano
i versi sbigottiti
galleggiano
verso nuovi mormorii.
Ciò che manca è la forza
di confonderci e rifare una gioia di sorprese
dalle menomazioni.
Le assenze
hanno germogli al buio
da coltivare attentamente
perché le ombre
raccolgono l’energia dei millenni
i profili potenti di terre morte
le trame di chi in loro ha creduto
nelle ore diurne.
Chi si ripara nell’ombra a godere la luce
sceglie la parte sinistra di sé gli oscuri
lobi temporali che dirigono
occulte partiture.

ora tu suoni
per me per noi
per questa casa saturnina che a ogni nota
si frantuma un po’ di più

moduli assenze come
vuoti virtuosi
pause musicali
impari e dimentichi
impari e dimentichi

e non smetti mai di suonare


Oblivion
(Astor Piazzolla)
dimenticare è danzare all’indietro
ogni passo striscia il tacco sulla cera
non bisogna inciampare
ma scivolare il corpo con grazia.

tu reggimi bene lo sai
che soffro di vertigini
quando mi allontano dalla scrivania.

ciascuno con una spina dorsale
eretta da cinquantamila anni
ha imparato a volteggiare poi
s’incrina il pavimento.

se danziamo all’indietro il piede
cancella il fastidio dei riflessi
ci illudono le curve di seguire
il flessuoso universo.

miei occhi nei tuoi occhi: dipanando
il filo lungo e ritorto del mondo
lui slitta via e noi
avvitati a un chiodo


Introspection
(Thelonius Monk)

gli idioti
guardano dall’altra parte della strada
non vedono macchine
solo cani festosi

gli idioti
vedono i morti sotto gli sgabelli
che li vedono stupiti
di vederli lì

gli idioti
vedono il mare dappertutto
nel letto
e negli sgabuzzini della polvere

gli idioti
se ne infischiano di restare o partire
nel corpo
nel cervello
nei piedi
stanno
come in grembo alla madre

gli idioti
amano la musica
coprono di musica la terra
coprono il dolore
sono innocenti
uccidono l’orrore
con i suoni

gli idioti
non sono mai intonati

gli idioti
sono i morti che ritornano
ritornano continuamente
per salvarci
dall’intelligenza

non sono mai intonati
gli idioti
suonano sempre la stessa musica
gli idioti
la sola
imparata
quand’erano sottoterra


Peace Piece
(Bill Evans)

Ogni cosa non è sola
se non la lasciamo andare
un filo
la lega alle altre e a noi
basta una musica
velo tra cosa e cosa
corpi fluidi specchi che ci sdoppiano
sdoppiando il mondo
ma è un’illusione
l’illusione è
la verità che non si cerca
appare
al tocco di due note
l’illusione
come l’amore è solida
vediamo due rincorrersi nel labirinto
di un giardino antico
le curve del disegno si allontanano
poi quasi si toccano i due
ridono
sale un canto d’usignolo
loro non sanno che è un rospo –
cantano allo stesso modo

Dove si va
oltre la verità
si bussa a quelle porte celesti
che non si aprono
non possono aprirsi più
perché l’oltre è finito
e tra il paradiso e l’inferno
c’è un millimetro.



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