Gli sposi Arnolfini Van Eyck
In silenzio lo specchio mostra figure rovesciate
se è vero che siamo qui a bisbigliarci qualcosa
di molto elegante scandendo sillabe leggere
dove l’eco si cancella sulle labbra e pure le mani
appena sfiorandosi, non osano farsi domande.
Se questo fosse il sogno di un’altra coppia-
un mistero cortese che invisibile soffoca
nel quieto disegno delle cose per svelarsi
solo di là, nell’ardore di gesti dissennati
in ombre e profili capovolti. Ma è così
che ci immagina il nostro desiderio.
I due ambasciatori Hans Holbein
A noi non interessano i progressi della scienza:
ci portano onore e denaro? Altrimenti non servono.
Certi messaggi complessi neppure il re li comprende
li inviano angeli e demoni a sovvertire le imprese.
Oggi fa molto freddo, ci riscalda la pelliccia
adeguata a questa stagione come il nostro atteggiamento
e nulla di obliquo traversa cose e velluti.
Noi diciamo quello che abbiamo da dire
facciamo quello che ci ordina il re.
Non guardate nient’altro, nulla c’è da scoprire.
È il 1553.
Siamo Jean de Dinteville e Georges de Selve-
due ambasciatori.
Teoria dei colori
Bianco
Arida neve che nascondi il cuore
la terra e di ogni cosa la sorgente
e discendi sprezzante dall’altezza
fredda teoria di mente in malumore.
Simuli il giorno la luce la chiarezza
il tempo escludi nel tuo bianco puro
l’altra tua parte, il tuo oscuro passato
l’inizio della febbre e il suo futuro.
Ma la tua perfezione immaginata
non dura che un respiro onnipotente,
perché ogni cosa si sporca e si tramuta
nel suo contrario e dal contrario in niente.
Nero
Ehi, voi, chi vive qui? Nella mia mente
si allarga ogni giorno il vostro nero
bisbiglia e urla fa sempre più rumore
oltrepassa questa soglia sfuggente.
Occhi e orecchi non chiudo lascio aperti
finestre porte e trepidante cuore:
inutile è resistere, mi arrendo:
tacciono i vivi, parlano i morti.
Dentro gli specchi aperti e dentro i sogni
parlano i morti ed io più non comprendo
le frasi di quaggiù, quelle parole
che parlano parlando inutilmente.
Rosso
Non posso fare una poesia col rosso
il rosso è qui e ora e non si scrive
è la poesia una creatura animale?
Il sangue vivo una figura di sale?
La memoria ha visioni da trovare
-il rosso esplode rosso sul fondale-
se il rosso non è mai lo stesso rosso
è la poesia che sembra rosseggiare.
Nel rosso non si specchia la poesia
che sempre rincorre qualche cosa
nel controverso brucia l’eresìa
con altro rosso ricolora la cosa.
Verde
Di ghiaccio e neve le lunghe tormente
sabbiose bufere di vento e fuoco
offese e contese di sangue e mente
di gelo e arsure l’oscillante gioco.
Scende ogni cosa verso la corrente
lenta del Lete, verso le pianure
concave e calme dove chi si arrende
infine trova il suo punto di quiete.
Dove i pensieri hanno argine e ponte
sguardo domestico, forma familiare,
finché nella distanza lentamente
ciò che era nostro, estraneo ci appare.
Giallo
A chi inchinarmi adesso a quale trono
di dio o di re e attendere salvezza
dare il nome lo slancio la certezza
sperare nel favore o nel perdono?
Non c’è più regno qui né un altro attende
il cavaliere audace e pia donzella
la bella fiaba ha perso il suo tesoro
il regno il re, confine e sentinella.
Il passo è più pesante ed io sprofondo
tremante nelle nebbie della sera
inventandomi un luogo e una bandiera
e che i riflessi opachi siano oro.
Grigio
Ombre dell’ombra l’una all’altra accanto
che viaggiano l’inferno e il purgatorio
discorrendo del corpo e del suo canto
nati dal nulla, dolcemente uniti.
Del nulla e del suo canto e di null’altro
si va parlando cercando limpidezza
sapendo sempre delle cose il vuoto
e il fondo scuro di ogni notte scura.
Se oltre trasparenza di pupille
delle mani l’amorosa saggezza
e delle labbra le vaghe scintille,
c’è solo di due corpi la misura.
Piccole invocazioni a Mercurio
A caso qualcosa si posa
poi torna a cadere
salire
come sul punto di tacere
dire
e si allude elude delusione.
Conducimi oscuro amico ironico
dentro il tuo buio di risa
verso altre voci che ridono
in un permanente ridente bisbiglio.
Col mio corredo di frasi
dammi sepoltura di nuvola
-io che di nessuno fui madre-
lascia alle parole l’ultimo sguardo.
Véstile ad una ad una del mio corpo
perché vanità deve sposarsi a vanità-
se è la luce che lo vuole.
[...]
A chi ha negli occhi l’addio
contorni non più umani
concedi il tocco futile dell’alieno
tu che conosci l’arte di allontanarti.
Che la distanza sia un oblio alleviato
da uno stato di impalpabile ebbrezza
come se qualcosa che striscia
infine spiccasse un volo
alto pochi centimetri, tra puntini immaginari
di terreni pulviscoli e da lì
-tu che conosci l’arte di avvicinarti-
dammi notizie raccontami le storie degli dèi
-ma solo di quelli sconfitti-
oh tu che sai tornare sempre umano.
Clessidra
A John Ashbery
Tutte le cose sono possibili nella lente dell’occhio
come nel corpo della clessidra dove scorrono attimi
finché l’occhio avrà una lente, la clessidra un vetro.
Nella luce si amplificano i contorni e l’aria si solleva
ricadono scorie gli oggetti spariscono
la luce esce dalla polvere.
Ai quattro angoli della stanza il giorno trasale negli specchi
e la mia immagine è vinta: appaio come sono
in un’unica rappresentazione, senza omettere nulla:
le parole divise si saldano quelle troppo salde tornano saliva.
Nella casa illuminata occhio e clessidra si inclinano.
Le antiche possibilità ora sono fatti,
le indosso come un abito festivo e avanzo nell’ombra
della mia doppia esistenza, nuda e abbigliata,
la osservo senza lacrime e mi sveglio in uno strano giorno
dove nessuna polvere cade dietro nessuna lente
-prima di cambiare corpo nel buio.
L`arte di non pensarla
Spostando una sedia o una virgola si torna
nella pelle selvatica come negli abiti stagionali
(è la lezione dei climi variabili): lei si sposta da un`altra parte.
Oggi ad esempio non ho voglia di morire,
non so perché, forse oggi il mio cervello ha humour
le butta addosso una testa d`asino
le appicca fuocherelli insidiosi.
Mentre brucia ficco gli occhi nei suoi che sgusciano
via e anche i miei se ne vanno di là e i pensieri
sono tutti laterali, non hanno voglia di esserci.
Visioni e illusioni la coprono di ghirigori.
C`è chi pensa che cambiando spesso registro
non si è seri. Verissimo. Si comincia a passi pesanti
per poi stornarsi, si apre la lotta con verità secche
si finge di chiuderla con finti fiori.