Marco Ercolani
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La febbre e il limite

Lezione inedita di Ingeborg Bachmann in difesa della scrittura apocrifa, 1960.

Signore e signori,

sono qui a parlarvi della scrittura. Non di commemorazioni, convegni, centenari, bicentenari, genetliaci, riscoperte postume, ma della scrittura. E allora comincerò a dirvi la verità: ogni scrittura è apocrifa. Ogni scrittore, in quanti opera nel segreto del suo spirito, è apokryphos, cioè segreto, e il suo apprendistato si esercita con una lingua scritta e consumata nei secoli da altri scrittori, vissuti prima di lui alla ricerca della loro anima. Che cosa significa tutto questo? Che lo scrittore, proprio perché autentico, si abbevera alla fonte a cui altri hanno già bevuto. Non vi sembra contraddittorio? Una sincerità dell’anima che si basa su una forma di vampirismo. A me sembra splendido. Dirò di più, inevitabile.
La scrittura, quando si sgombra dei prodotti letterari, diventa quello che deve essere: un’etica del pensiero, una direzione del sentire, una forza che ci stringe lì, nel regno delle parole, a sperimentare, in modo scandaloso, l’inadeguatezza dei nostri strumenti. Ma ognuno canta con la sua voce, indossa la sua maschera, cammina con il suo passo. Ed è osando il proprio tono e non un altro, preso a prestito dalle tradizioni della letteratura, che la scrittura smette di essere inoffensiva e diventa energia pulsante e trasgressiva, diagramma spezzato di una febbre.
[...] Ciò che in arte noi chiamiamo perfezione non fa che rimettere in moto ciò che perfetto non è. Una volta spenti i riflettori e ogni altra forma di illuminazione, la letteratura, lasciata in pace e al buio, risplende di luce propria, e le sue creature vere, commuovendoci ancora oggi, emanano bagliori. Le opere sono punti morti e punti di luce, frammenti in cui si avvera la speranza nella lingua intera che dirà i mutamenti dell’uomo e i mutamenti del mondo: questa lingua, questa koiné dell’arte nei secoli, è il frammento di confessione che non smette di agitare la lingua del morente per l’ultimo sospiro. E il morente è l’esegeta, il traduttore, il posseduto, il camaleonte di questo sospiro: abbandonato dai destini che lo avevano invaso, tace e torna a vegliare, in attesa che l’aria vibri ancora e torni questione di vita o di morte trascrivere voci...



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