Marco Ercolani
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Praga (Ripostes, 1990)

Con corpi eleganti e sorrisi compiaciuti mi avete ascoltato senza capire. Udendo poesie che dovevano bruciare le vostre orecchie e stravolgere le vostre vite, avete osato applaudirmi senza fervore e senza ironia. E ora, spogliata la parola del suo potere, vi apprestate a uscire da questa sala per tornare nella vostra casa; dove, accaldati e commossi, dopo una cena abbondante e la consueta scopata, vi addormenterete deponendo la nuca sullo stesso punto del cuscino, sereni.
Mi fate ribrezzo.
Ma oggi vi sorprenderò.
Forse non ve ne siete accorti, ma, mentre declamavo Ouvalu Klinu, Praga è cambiata. Non mi credete? Scuotete la testa e ridete?
Eppure io non ho l’intenzione di scherzare.
Guardate fuori. Guardate attentamente.
Ognuno di voi, uscendo di qui, vedrà cose diverse. Chi piazza Venceslao affondata nella nebbia. Chi il Ponte Carlo ostruito dalla carcassa di un cavallo assiderato. Chi confonderà la Drevna alla Bozdechòva, la Vlasska alla Zelezna: le vie sono mescolate, irriconoscibili. Chi udrà colpi sordi, chi tonfi di vanghe, chi violini stridenti.
«E la bocca socchiusa dove luccicano i denti» – ricordate i versi di Màcha? La mia parola, che credevate innocua, ha fuso vicoli e tetti. Le fondamenta si sono abbassate. IL fiume si è spostato a sinistra. Mentre vi raccontavo che Màcha cancellò e riscrisse Maggio sette volte, Praga si trasformava settantasette volte.
Non potrete, luridi pori, riprendere la vita di tutti i giorni. Sarete costretti ad adattarvi a piazze ignote, a entrare in case che non c’erano prima, a vedere università chiese taverne ospedali dove non siete mai stati. Urlerete, finalmente. Annientati dallo stupore, urlerete. E tornerete qui, nella sala, costernati e furiosi, pretendendo che io vi restituisca la vecchia realtà – che spazzi via, per voi, questa sgradevole confusione.
Ma io non sarò più qui.
Dovrete arrangiarvi senza di me.
In una sala vuota – senza tavoli né libri né sedie.
Forse – chissà – non era Màcha il poeta che avete ascoltato. Io non l’ho mai letto. La mia voce, vegliando la metamorfosi di Praga, aveva intonato – non ricordate? – l’ultima terzina dell’Inferno.



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