Marco Ercolani
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Il diritto di essere opachi (La Vita Felice, 2010)

Gerico

Da Gerico non si fugge mai
perché intorno alle case cresce l`insidia dell`aria:
una città fluida, oscura,
dove i nomi delle strade sono segreti
dove, se respiriamo,
un uomo sarà ucciso mentre cammina nella nebbia.
I nostri passi, cercando la terra, trovano il vento.
Io socchiudo gli occhi, stanco di vedere
pietre.
Stringo un bicchiere vuoto
e ascolto le voci dei ragazzi
per non credere che l`uomo
è un disegno staccato dal muro.
Davanti alle porte di Gerico
mani estranee lasciano il cibo.
È buio. Rompendo il pane
mangiamo lentamente, prigionieri di una rete.
Sono ripide le fontane
a cui vorremmo bere, vacillano
le pietre su cui cadde la pioggia.

Chiusi cancelli e giardini
la mia mano trascrive il colore degli aranci.
Ma il foglio è stretto, coperto
da parole notturne.
La luce muore, nella carta,
come sulle mie dita, scomparsi gli amici,
cade l`ombra dei rami.
Quando anche io partirò nascerà il dubbio:
saremo ricordati uomini o pietre?

Ma una sentinella, tradita dal sonno,
non vede quel cerchio di fumo
dove, senza essere cavalcati,
galoppano i puledri.
Io sollevo il palo dalla porta
perché i cavalli entrino a Gerico.
Stanco di proteggere delle statue
osserverò gli zoccoli polverosi
rompere con un rumore cupo spalle di pietra.


La fessura nell’idolo

Qualcosa scivola in una materia senza futuro.
Non precisare. Non disporre. Non sapere.
Aspetta sotto la curva del cielo.
Prometti sostanza alle cose.

All’orizzonte quella nebbia, con la forma di noi.
Le mani, meno forti, non trattengono
il peso dell’acqua. L’anfora rotta,
nessuno racconta come si sfracellò lentamente
sui lunghissimi gradini, fra esseri
senza nome e profilo.

Le mani, meno forti,
non sentono l’acqua che scivola via.
Qualcosa dissolve la pietra. Inventa incubi, fiumi.
La testa non appartiene più al corpo, né il corpo alla terra.
Ora dovrai difenderti e dire [...]

Is Arutas

Sempre, dopo che gli uccelli hanno cantato,
arriva una notte incomprensibile,
il buio come un incubo,
e ti sorprendi a pensare la luce
nelle ali che pulsano immobili -
sonno senza cielo, perfetta assenza di sole.
Poi ti addormenti.
Saprai domani se le geometrie del pianeta
resisteranno a un’altra notte.
Dentro le cose sparite
la notte scolpisce di nuovo i profili
che rinasceranno.

Rosso e oro. Rocce.
Soffio presente di vita.
Sottoterra, il fiato.
Incantesimi deviati, inattesi.
Is Arutas.
Roccia a testa di lupo.
Troppa, troppa luce. Non scrivo. Nessuna carta
tratterrebbe le parole.
Scie d’acqua sulla pietra.
Lingua per muti.
Non leggo. Aspetto la notte.

Lascio che la luce scorra sui vetri
in quel modo silenzioso e immortale
che, una volta morti,
piangeremmo. Lascio che la luce
scorra. Vorrei accennare che. Ma le parole,
sempre più opache, restano nelle dita
come unghie staccate.

Nella sua nuca, inverno dopo estate,
la lunghezza degli sguardi, giorno dopo notte.
L’infinito lo guardiamo
dentro la sua testa come in uno specchio
ma le cose restano troppo grandi
molti guardiani non conoscono la casa
e sanno tutto del buio,
del mondo che cola via – acqua
senza cose, strappata dal sisma.

La sillaba di un vento solleva l’erba
come secoli fa, quando respiravano
tra questi fili verdi, sotto fortezze ora dissolte,
uomini che mi assomigliavano.

Il penultimo sole
torna lentamente alla terra
per difenderla dalle notti future
racconta l’opera del respiro nel sonno
che alla pelle riporta una giovinezza
dove le dita si reimparano dita,
nuove nel buio.
L’uomo che fingo di essere
accennando con la lingua parole
sono io
chiamatemi per nome

Non serve la scrittura
che ogni giorno ascolti.
Diari, schegge, balbettii,
voci infitte nella mente.
La chiamano scrittura dei morti
ma con matite, grida, fogli, pietre, mattoni sono,
restano
vivi.

E tu? Parli
di uomini che non sono stati guardàti.
Di sabbia, non di mare.
Non racconti fiabe ai bambini.
Non ricordi le pietre piccole, di quarzo rosso -
princìpi di speranza, di silenzio -
scoperte fra alghe e rocce.
Is Arutas. Is Arutas.
Non fare, della terra che vedrai,
un altro punto buio nella nuca.
Per una volta. Senza visioni.
Guarda.



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