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TI SCRIVERO` PIU` A LUNGO DOMANI (Luigi Sasso)
Una delle formule di congedo più frequentemente utilizzate da François Truffaut nelle sue lettere – ce lo ricorda Marco Vallora - era la seguente: «Ti scriverò più a lungo domani». Quasi sempre, infatti, l’incombere delle esigenze e delle emergenze quotidiane, se non impedivano al cineasta della Nouvelle Vague di assolvere ai suoi doveri di corrispondente, tuttavia lo costringevano a rendere essenziale la propria comunicazione, a evitare indugi e divagazioni.
C’è tuttavia in quella formula, presente in maniera chissà se consapevole o involontaria, una significativa idea della scrittura, che potremmo riassumere così: una pagina scritta, per quanta narrazione o informazione contenga, per quanto sappia destreggiarsi nei sentieri di una riflessione, di una testimonianza, di un ricordo, si condensa alla fine in, o in fin dei conti non è altro che, una promessa. Un luogo, una forma di comunicazione necessariamente inadeguata a restituire la pienezza di un’emozione, la complessità delle cose, a dire tutto, insomma, quello che vorremmo dire.
Un’ombra, certo. Ma la formula di Truffaut ci restituisce anche la disponibilità della scrittura a riproporsi in un immediato futuro, dove quella pienezza, quella felicità potranno essere raggiunte. Un’ombra allora che si proietta nel domani, lo invade, lo illumina, per così dire. Una parola che si apre, che fa pensare a un dono, che sbilancia l’oggi nella dimensione dell’attesa. Il tempo prende la forma di un inciso, qualcosa che mette in relazione e insieme separa: altre parole ci raggiungeranno, sveleranno ciò che il foglio che stringiamo tra le dita tace, o a cui semplicemente, cripticamente allude.
Proprio qui, in questo speciale rapporto col tempo, la formula di Truffaut si rivela efficace: traduce in vibrazioni il passato, cioè le parole che la precedono, orienta verso di sé il futuro, le parole che domani seguiranno. Esprime, con straordinaria, suggestiva intensità, la qualità totalizzante non solo di una semplice corrispondenza epistolare, ma di ogni realizzazione letteraria, la sua doppia proiezione, il suo deflagrante dinamismo, quella natura capace di stare sospesa fra tradizione e utopia, fra archetipo e proiezione visionaria, inconscio e immaginazione. Capace di trasformare il vuoto, l’assenza - questo tempo che sembra non passare più, che aspetta il domani - in uno spazio dotato di senso.
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